Il Vangelo Secondo Giovanni
INTRODUZIONE
Il quarto vangelo, tradizionalmente attribuito a Giovanni, ha sempre attratto l'attenzione dei suoi lettori come "vangelo spirituale"; così lo definì Clemente d'Alessandria tra la fine del Il e l'inizio del III secolo d.C. (cfr. Eusebio da Cesarea, "Storia Ecclesiastica" VII, 14,7) e tale qualifica ha accompagnato nei secoli quest'opera di alta qualità teologica, ricca di simbolismi e allusioni all'Antico Testamento, affascinante, ma anche dura. Il testo può essere paragonato a un grande tessuto, dove diversi fili s'intrecciano e la cui comprensione richiede fatica e pazienza, perciò deve essere letto e riletto più volte, con il cuore e l'intelligenza, con la calma della fede e la passione dello Spirito. Amato dai contemplativi, il vangelo di Giovanni ha ispirato insuperabili pagine e commenti dei padri della Chiesa, tra i quali sant'lreneo, Origene, san Giovanni Crisostomo (che ha scritto 88 omelie su quest'opera), sant'Agostino (124 tra omelie e conferenze), san Cirillo d'Alessandria (che ha scritto il "Commento al Vangelo di Giovanni" in 12 libri), Ruperto di Deutz, san Tommaso d'Aquino.
Se volete prendere visione dell' Introduzione e del primo capitolo del Vangelo con i relativi commenti potete cliccare sul seguente link :
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Il vangelo secondo Luca
Il terzo vangelo, attribuito a Luca, con i suoi 24 capitoli, formati da 1151 versetti (quasi il doppio di quelli di Marco), è il più voluminoso dei quattro vangeli. Questo scritto è sempre stato molto apprezzato dalla Chiesa per l’eleganza, la fluidità dello stile narrativo e per il fascino del materiale che gli è esclusivo, comprendente alcuni episodi e parabole tra le più belle dei vangeli.
Il vangelo di Luca è letto in modo continuo nella Liturgia domenicale dell’Anno C, ma la sua presenza è rilevante in ogni Anno liturgico nel tempo di Natale, in diverse solennità quali, per esempio, quelle di Maria SS.ma Madre di Dio, dell’Annunciazione, dell’Assunzione al Cielo di Maria, e in alcune feste quali la Presentazione al Tempio di Gesù.
L’autore - luogo - data di composizione
La tradizione più antica è concorde nell’indicare l’autore del terzo vangelo in Luca, fedele discepolo dell’apostolo Paolo, che lo menziona diverse volte nelle sue lettere (cfr. Fm 24; cfr. 2Tm 4,11, cfr. Col 4,14). Il “Canone muratoriano”, il più antico elenco di libri canonici che si conosca (160-180 d.C.), attesta: «Terzo è il libro del vangelo secondo Luca. Questo Luca è un medico che, dopo l’ascensione di Gesù, Paolo prese con sé come compagno di viaggio». Sempre secondo la tradizione, Luca sarebbe nato ad Antiochia, città della Siria sede di una comunità cristiana fiorente, della quale, negli Atti degli Apostoli, mostra di conoscere molto bene la fondazione, gli animatori e le problematiche (cfr. At 11,19-27; 13,1; 14,19; 15,1 ss).
L’immagine tradizionale dell’evangelista corrisponde in discreta misura a quanto si può ricavare dall’analisi della sua opera. Un pregio particolare del terzo Vangelo deriva proprio dalla personalità affascinante del suo autore che vi emerge di continuo. Luca è uno scrittore di gran talento e di animo delicato, che possiede un’ottima conoscenza del greco, come dimostrano lo stile raffinato e il modo di costruire le frasi. Il racconto ne lascia spesso trasparire la professione medica; dei quattro evangelisti egli è l'unico ad esprimersi con indulgenza sui medici (per es. omettendo in 8,43 un commento dispregiativo nei confronti dei medici presente in cfr. Mc 5,26) e ad indicare con maggior esattezza i fenomeni patologici, annotando da quanto tempo dura la malattia e distinguendo con più cura le malattie vere e proprie dalle possessioni diaboliche.
La tradizione è divergente riguardo al luogo in cui sarebbe stato scritto il terzo vangelo. Il maggior numero di testi parla genericamente dell’Acaia (vale a dire la Grecia meridionale per distinguerla dalla Macedonia); altri, senza argomenti decisivi propongono Cesarea, Alessandria d’Egitto o Roma. Per alcuni studiosi moderni, la composizione non sarebbe comunque avvenuta "di getto" e l’opera, iniziata forse in Grecia o in Siria, potrebbe aver ricevuto forma definitiva in Roma. Anche per quanto riguarda la data di composizione, le tradizioni antiche non sono precise: secondo molti studiosi il terzo vangelo sarebbe stato scritto dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, quindi verso il 70-80 d.C.
Destinatari dell’opera sono i membri di una comunità fatta in gran parte da pagani convertiti, totalmente ignari del contenuto dell’Antico Testamento, ai quali l’evangelista spiega tutto ciò che non potrebbero capire. Luca tralascia perciò le parole semitiche che sostituisce con termini greci più familiari ai destinatari dell’opera; per esempio al titolo ebraico «Rabbì» (=”Maestro”) preferisce il greco «Epistàta» (=”Guida”) o «Didàskale» (=“Insegnante”) e usa il termine «Kranion» (="Cranio") invece di «Gòlgotha». Il testo è povero di citazioni esplicite della Scrittura, ma ricco di richiami ai temi che più stanno a cuore a Israele e che, allo stesso modo, sono in grado di far vibrare il cuore di ogni uomo. Con questi accorgimenti l’evangelista compie una vera e propria opera di mediazione, introducendo Israele tra i popoli pagani e i pagani nel vero Israele.
Il Vangelo secondo Marco
Il Vangelo secondo Marco, con i suoi 16 capitoli, è il più breve dei quattro vangeli. Proprio per la sua brevità, oltre che per lo stile considerato poco elegante, è stato trascurato per secoli dagli studi biblici e dalla liturgia, tanto che fino al concilio Vaticano II in tutto l’anno liturgico se ne leggevano solo quattro brani, oltre al racconto della Passione. Oggi questo scritto è stato ampiamente rivalutato per la sua avvincente forza narrativa, lo stile vivace, “moderno”, sempre attento ai dettagli, ed è il vangelo più commentato dagli studiosi e il preferito dai catechisti.
La maggior parte degli studiosi moderni concorda sul fatto che Marco sia stato il primo autore a raccogliere i fatti principali della vita di Gesù e alcuni suoi insegnamenti, in modo da ottenere un racconto continuo: con quest’opera, l’“evanghelion” –“buona novella”– da annunzio fatto a voce è divenuto per la prima volta opera scritta, un vero e proprio “genere letterario” nuovo. L’evangelista ha riportato integralmente il materiale della Tradizione orale senza scomporlo o aggiustarlo e senza elaborare grandi sintesi teologiche personali, perciò la sua opera assume una particolare importanza perché riproduce fedelmente il patrimonio evangelico formatosi nella Chiesa primitiva. In seguito questo testo è stato usato come fonte dagli autori degli altri due vangeli sinottici (Matteo e Luca), assieme a un’altra narrazione chiamata la “fonte Q”.
L’autore - luogo - data di composizione
Come gli altri Vangeli anche questo non è firmato e non fornisce indicazioni circa il suo autore, sulla cui identità storica gli studiosi discutono tuttora. È solo un’ipotesi che Marco possa essere identificato con il giovanetto protagonista di un episodio presente solo in questo vangelo e che pare essere autobiografico («Lo seguiva, un ragazzo che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo» cfr. 14,51-52).
La tradizione della Chiesa ha identificato l’autore del secondo vangelo con il Giovanni Marco di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli Apostoli, cugino di Barnaba che lo presentò a Paolo in occasione del loro viaggio da Antiochia a Gerusalemme (cfr. Col 4,10; At 12,12.25; At 13,13; At 15,37-39). In seguito Marco si sarebbe unito a Pietro divenendone discepolo e collaboratore (cfr. 1Pt 5,13) e del quale avrebbe messo per iscritto la testimonianza. Al di fuori del Nuovo Testamento le prime notizie di quest’opera e del suo autore risalgono al II secolo in un’attestazione di Papia, vescovo di Gerapoli che ne cita e commemora una ancor più remota: «Anche questo il presbitero era solito dire: Marco, che fu interprete di Pietro, scrisse con cura, ma non in ordine, ciò che ricordava dei detti e delle azioni del Signore. Egli infatti non aveva ascoltato né seguito il Signore, ma più tardi, come ho detto, ascoltò e seguì Pietro».
Gli studiosi moderni confermano che l’autore è di origine ebraica, scrive in un greco molto semplice, privo di ricercatezza stilistica, con una sintassi tipica del linguaggio popolare. L’evangelista comprende l’aramaico. Il testo contiene molti termini in questa lingua, parlata correntemente in Palestina all’epoca di Gesù e che sono presenti solo in questo vangelo: «Boanèrghes» (3,17), «talità kum» (5,41), «korbàn» (7,11), «effatà» (7,34), «Abbà» (14,36).
Secondo quanto affermano alcuni padri della Chiesa, l’opera sarebbe stata scritta a Roma intorno al 65-70 d.C., subito dopo la morte di Pietro (64 d.C.). I destinatari probabilmente non erano ebrei ma romani provenienti dal paganesimo, appartenenti a una comunità perseguitata e sollecitata all’impegno missionario, come confermano l’importanza data al discepolato e alla sequela, e l’insistenza sul fatto che la predicazione del Regno non sia limitata ai soli ebrei. Inoltre l’autore usa parole e locuzioni latine e si prende cura di fornire il corrispondente latino di alcuni termini greci, di spiegare costumi e usi liturgici giudaici (cfr. 7,3-4; 14,12; 15,42), di dare dettagli geografici (cfr. 1,5-9; 11,1; 11,17; 13,10), di tradurre le parole aramaiche evidentemente incomprensibili ai suoi lettori (cfr. 3,17; 5,41; 6,34; 14,36; 15,22.24). I richiami all’Antico Testamento sono scarsi (appena 18) e sono omessi molti dei riferimenti alla Legge mosaica che si trovano nel vangelo di Matteo.
Il vangelo secondo Matteo
Il vangelo secondo Matteo, il più lungo tra i quattro canonici, per la ricchezza dei suoi contenuti, ha goduto di una larga diffusione lungo tutta la storia della Chiesa. È il “Vangelo del catechista”, utile per scoprire progressivamente Gesù e per comprendere che essere cristiani significa essere parte della Chiesa.
L’autore - luogo - data di composizione
La tradizione unanime della Chiesa antica attribuisce questo vangelo a Matteo, detto anche Levi (Mc 2,14), l’Apostolo che Gesù chiamò al suo seguito dalla professione di pubblicano, cioè di esattore delle imposte (Mt 9,9). La prima attribuzione a Matteo è l’affermazione di Papia, vescovo di Gerapoli nella Frigia, nel 130 d.C. che dice che: “Matteo ordinò i detti (di Gesù) in lingua ebraica e ciascuno li tradusse come ne era capace”. Oggi questa attribuzione è stata messa in discussione: gli studiosi moderni sono comunque concordi nel ritenere che l’autore sia un ebreo (come dimostrano le caratteristiche letterarie, le tematiche teologiche, il lessico, lo stile) esperto nella dottrina dei maestri della Legge mosaica.
Forse un primo nucleo di questo vangelo fu scritto tra il 40 e il 50 d.C. in lingua aramaica (la lingua comune in Palestina ai tempi di Gesù) ma di questo primo testo non abbiamo traccia. A noi, invece è giunto il testo greco, scritto probabilmente nel decennio che va dal 70 all’80 d.C. fuori dalla Palestina, in Galilea o ad Antiochia di Siria secondo numerosi studiosi. Tuttora non si riesce a stabilire il rapporto esatto tra gli scritti dell’Apostolo e questa redazione finale.
Nel vangelo di Matteo è presente materiale di Marco, della fonte Q e altro materiale personale, forse consistente in brani sparsi di tradizione orale, messi per la prima volta per iscritto da Matteo.